Intervista a Giovanni Allevi, il Musicista avvolto nel buio ma assetato di luce

Due esili mani pallide scivolano delicatamente sulla lucida tastiera di un pianoforte, guidate da un forte sentimento che pian piano, lentamente, si personifica in melodia. Giovanni Allevi, celebre pianista italiano (e non solo) dai folti ricci neri, dà il via al “Celebration Symphonic Tour”, una doppia tournée che festeggia i 25 anni di attività live. Tra dicembre 2016 e gennaio 2017 infatti, l’illustre talento del Maestro incanterà il pubblico d’Italia e d’Europa. Le città interessate saranno Catania, Napoli, Torino, Firenze, Roma, Genova, Lugano, Spoleto, Londra, Zurigo, Bruxelles e Dublino, per un affascinante viaggio che vedrà Allevi non solo in veste di pianista, ma anche di compositore e Direttore d’Orchestra alla guida dell’Orchestra Sinfonica Italiana. Gilt Magazine vuole dunque celebrarne il talento con una speciale intervista, svelando qualche curiosità sulla sua professione e sulla vita privata.

Caro Giovanni, un giorno tuo padre decise di chiudere il pianoforte a chiave, un provvedimento che si rivelò del tutto inefficace in quanto trovasti la chiave e, di nascosto, riuscisti a dedicarti alla tua più grande passione: la musica. Che cosa ti ricordi di quel momento? Ci racconti le tue emozioni?

Cominciò a battermi il cuore quando per caso, in un cassetto, trovai una scatolina gialla dentro cui era riposta la chiave argentata del pianoforte. Era la via d’accesso alla musica, che mi veniva momentaneamente negata; l’incontro con quello che sarebbe stato il mio destino. Ammirai quella tastiera aperta per giorni, nel pomeriggio, quando restavo solo in casa, senza trovare il coraggio di abbassare un tasto. Iniziava un incontro furtivo dove il mio cuore si dibatteva tra paura e desiderio. Poi presi coraggio e suonai una nota, una sola nota, nel silenzio della stanza. La mia vita non sarebbe stata mai più la stessa.

La musica ti ha portato a viaggiare moltissimo. Quale concerto e quale luogo custodisci come prezioso ricordo?

Dopo il primo concerto a Napoli davanti ad un pubblico di cinque persone, per anni ho suonato la mia musica nei luoghi più disparati, al cospetto di platee che non superavano i trenta spettatori. Ma sono sempre stato animato da un amore folle, che mi faceva superare lo scoraggiamento, la paura che quella non fosse la mia strada. Finché un giorno mi trovai all’Oriental Art Centre di Shanghai, in un teatro completamente pieno di pubblico accorso per ascoltarmi. Non credevo ai miei occhi, il suono di quell’applauso era inebriante, la gioia di quell’affetto mi ripagava di anni di sacrifici.

Il talento artistico è un tesoro da scoprire in se stessi, talvolta sommerso da mille pensieri e altre priorità che ci portano via molto tempo. Come sei riuscito a cogliere il tuo talento, ad aderire a questo meraviglioso istinto da formalizzare?

Oltre allo studio accademico che ha impegnato vent’anni della mia vita, credo di aver avuto il coraggio di andare controcorrente. Tutti si aspettavano da un pianista che eseguisse il repertorio classico, io invece volevo comporre e suonare la mia musica. Il compositore contemporaneo, per essere accettato dal mondo accademico, doveva scrivere musica dodecafonica mentre io cercavo l’emozione, la bellezza. Se invece volevi lavorare, dovevi scrivere colonne sonore per film. Io ho sempre voluto che la mia musica non facesse da sottofondo a niente. Ora posso dire che è stato un miracolo che tante anime belle si siano messe sulla stessa lunghezza d’onda delle mie note.

L’amore è un sentimento che sembra emergere frequentemente dalla tua musica. Melodie dolcissime che riescono ad attraversare il cuore. Ci racconti come hai conquistato il tuo pubblico?

Ho guardato in profondità dentro me stesso. Ho visto una persona inquieta, spesso avvolta nel buio, e per questo assetata di luce. Tutta la mia musica è la disperata ricerca di una luce, e credo che le mie note abbiano colpito al cuore le persone come me, un popolo di sognatori, di poeti, che vivono intensamente le inquietudini e gli slanci di questa esistenza.

Che cosa ti fa arrabbiare?

Nulla. Anche quando non tutto sembra andare nel verso giusto, come le volte in cui la mia figura artistica non viene compresa, io so di star vivendo il mio sogno. Se penso all’affetto che mi viene donato, all’attenzione di chi mi segue, al calore dell’applauso, credo di aver ricevuto dalla vita più di quanto abbia dato. E tutte le volte in cui la fede lascia il posto allo scoraggiamento, mi affido alla disciplina: se qualcuno mi attacca, prendo uno spartito e lo riempio di note.

La tua terra, Le Marche, luogo unico e preziosissimo per l’Italia. Un colore che te la ricorda?

Il verde nebbioso dei colli marchigiani, intriso di silenzio e riflessione.

Un odore?

La salsedine.

Un piatto che ami.

L’Oliva Tenera Ascolana, vanto millenario della mia Ascoli Piceno.

Se non fossi un pianista e compositore, cosa vorresti fare?

Probabilmente il fisico delle particelle.

Un artista che ammiri (cantante, musicista, pittore…)?

E’ un matematico: Ettore Majorana. Giovanissimo, entrò nel gruppo di Enrico Fermi per lavorare allo studio dell’energia atomica, e forse si accorse prima degli altri del potenziale distruttivo di quelle ricerche, che avrebbero di fatto portato alla costruzione della bomba nucleare. A soli 31 anni, dopo aver rifiutato la cattedra di Fisica a Cambridge e Yale, fece perdere totalmente le sue tracce, lasciando insoluto il mistero della propria scomparsa.

Un genio.

Il tuo outfit invernale?

Qualsiasi abito mi riporti all’inizio del secolo scorso, in quel periodo liberty in cui ogni cambiamento sembrava possibile.

di Giulia Hansstein

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