Laura Aparicio: un mix culturale e di stile

Laura Aparicio

Semplice, ma mai banale. Elegante, ma ideata per ogni occasione. Dai tagli singolari e all’avanguardia che non dimenticano le origini colombiane, richiamandole attraverso colori e forme. Questa è la moda di Laura Aparicio, dal grande impatto estetico, femminile, originale e contemporaneo.

Hai avuto una formazione in Italia, a Milano. Hai frequentato uno degli istituti internazionali più riconosciuti, la facoltà di Fashion Design presso la Marangoni. Come mai hai scelto proprio Milano e non una città più internazionale come Parigi o Londra?

Era il mio sogno da quando avevo 12 anni, da quello che leggevo sui magazine e studiando la storia italiana ma anche quella della moda. Ho sentito questo forte legame, come se fossi stata italiana in un’altra vita. Quindi ho scelto Milano come trampolino di lancio per la mia carriera, è iniziato tutto così.

Hai collaborato per due anni presso il grande marchio Aquilano Rimondi; come hai creato la tua linea, lasciandoti anche alle spalle tutti i retaggi che ti ha creato quella collaborazione da un punto di vista stilistico, ma anche creativo?

La mia esperienza da Aquilano Rimondi è stata la più completa. Ho imparato da loro tantissimo, soprattutto a livello sartoriale: mix di tessuti, qualità delle stoffe, tagli. Sicuramente mi è rimasta impressa in qualche modo la filosofia del brand.

Possiamo dire che questa influenza si è avvertita nella tua prima collezione (2016), che presenta anche altre due caratteristiche: l’eleganza e l’avanguardia. 

È stato un percorso. Tutto è iniziato nel 2016, ma siamo nel 2019 e sono passate quasi 5 collezioni, quindi ho fatto un percorso creativo. Il mio DNA è 100% colombiano, ma mi piace ricercare e sperimentare. L’ultima collezione presentata a febbraio appartiene alla  “nuova Laura”, con identità più forte e tutto l’imprinting che ho avuto dalle mie esperienze precedenti, che mi hanno permesso di sentirmi più sicura adesso.

Hai sottolineato di essere colombiana, in quale modo le tue origini influenzano il tuo stile?

Io sono di Bogotà, quindi la capitale. Vengo da una famiglia di artisti; mio padre dipinge, quindi sono sempre stata circondata dalla creatività. Ho rielaborato tutto in chiave più moderna, non etnica, bensì più ricercata.

Più ricercata, ma anche semplice?

Assolutamente. Voglio mixare la rigorosità milanese con la vivacità colombiana. Cerco di creare un ponte.

Cosa preferisci la vivacità o la rigorosità? 

Tutte e due insieme.

Per quanto riguarda la moda, negli ultima anni sta scomparendo la distinzione di genere. Molti stilisti creano e promuovono uno stile no gender. Cosa ne pensi?

È bello che la moda possa essere aperta a tutti, soprattutto perchè un tempo non era così. Era molto di élite. Da un punto di vista creativo, una visione no gender apre tante strade: non essendoci limiti infatti, offre agli stilisti molta più libertà di creare. Ma allo stesso tempo è una sfida stimolante.

Quando crei hai un modello di riferimento di genere? Oppure ti adatti al tuo estro creativo? 

Sicuramente il mio modello di riferimento è una donna sicura di se stessa, molto femminile, però allo stesso tempo che vive la sua mascolinità. Quindi ho un modello, sì, che però non ha volto e rispecchia tutti quei valori che per me sono importanti. È fondamentale immaginarsi un modello e fantasticare su cosa faccia.

A chi hai regalato il mio primo capo?

Ad una mia amica. Ho fatto la mia prima sfilata a 14 anni, al liceo. Uno degli abiti che avevo creato le stava benissimo, così gliel’ho regalato.

Fai vedere a qualcuno in anteprima le tue creazioni? 

A livello di feedback sì, al mio team commerciale. Per il resto, no.

Hai ancora qualche sogno nel cassetto?

Tanti, voglio arrivare lontano e che il mio brand sia consolidato a livello internazionale.

Se potessi descrivere il tuo brand con tre aggettivi, quali sceglieresti?

Colorato, mix tra culture, sartoriale.

 

Ringraziamo Laura Aparicio per la gentilezza e la grande disponibilità, augurandole il meglio per i suoi progetti futuri!

 

di Amanda Lucia Fagiasi

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